Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/311

ne le quai sempre s’udiva un contrasto
di certi infami, ovvero utri da vino,
degni d’aver di sodo cerro un basto;

erano stanze sol da contadino,
e non poteva con onore in loro
fermarsi un uom da bene, un cittadino.

Parve che ritornasse il secol d’oro,
quando poi cominciossi a ritrovare
questo de’ galantuomini ristoro.

Quando mi avvien talor pel mondo andare
e veggio qualch’insegna alzata a l’aura,
che sogliono alte sovra gli usci stare,
subito l’alma rinfranca e ristaura
né piú l’acqua, la neve, il vento cura,
ché vede appresso quel che la restaura.

Seppe ciò che si far l’alma natura,
cioè quand’ella fece l’osteria
per mostrar segno che per noi procura:

se fosse stata qualche cosa ria,
credo che per l’amor ch’essa ne porta,
la facea diventar nebbia per via.

Fa l’osteria ogni persona accorta,
benché inetta da sé, grossa e deserta;
dunque per l’osteria gir molto importa.

Sta di giorno e di notte sempre aperta
ed è si buona e si gentil compagna
che mille fregi e mille pregi merta.

Chi tutto il suo ne l’osteria si magna
(lasciam da parte andar le bagattelle)
ad ogni modo, al mio parer, guadagna;

guadagna, se non altro, un noncovelle,
che, se io potessi, eleggerei piú tosto
eh’esser padron di tutte le gabelle.

Io ho fatto per me fermo proposto,
per darli il colmo de le cortesie
e farli ben creati, ch’a mio costo
vadano i figli miei per l’osterie,
dove s’impara a far tante accoglienze
e tante e si superbe dicerie.

G. Guidiccioni, F. Coppetta e altri, Rime .