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S’offusca il lume de la mia lucerna
presso al chiaro splendor lucente e bello
36 di questa spasimata mia taverna:

questa è materia da stare a martello,
da stancar mille lingue e mille ingegni,
39 da risolvere in zero ogni cervello;

quanti furono giá poeti degni
che cercaron di tesser questa tela
42 e non son loro riusciti i disegni!

La Musa mia si duole e si querela
che in questo mar la metta co’ la barca
45 de l’ingegno mio sol senz’altra vela;

ma io c’ho giá di mille cose carca
la mente, non farò come suol fare
48 chi senza aver biscotto in mar s’imbarca;

se vorrá Apollo il suo debito fare
mi manderá tutte le dotte schiere
51 del bel monte Parnaso ad aiutare.

Anch’ei de l’osteria piglia piacere;
quivi allora si ferma e si riposa
54 che a noi si lunghi giorni fa parere.

Voi che cantaste l’anguille e la rosa,
le carote, la peste traditora,

57 cantate l’osteria eh’è qualche cosa.

Di lá dove Titon lascia l’Aurora
sin dove Apollo col suo carro e ’l raggio
60 trabocca, l’osteria la gente onora.

Chi trovò l’osteria troppo fu saggio,
ché senza, a dir il ver, non si potria
63 far con comoditá lungo viaggio.

Se si perde talor la cortesia,
cerca corte e palazzo, se tu sai,

66 che la ritrovi alfin su l’osteria.

Tutti gli atti cortesi ch’usi e fai
io son ben certo, se vuoi dire il vero,

69 ch’a la taverna guadagnati gli hai.

Io vorrei prima esser chiamato ostiero
per l’inclinazion eh’ io tengo in questa,

72 amabile assai piú che ’l nume arciero,