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e sotto un par di brache io vedut’haggio
tal volta piú corone e piú ghirlande
153 e piú ciriege che non porta il maggio.

Mi par poi una cosa troppa grande
e proprio da spirtarsi, che costoro
156 corrano al cui com’il porco a le ghiande;

han dato sino a le pésche il decoro,
e ognuno corre a questo buco e cava
159 come ci fusse qui la vena d’oro.

O ladra usanza, scelerata e prava!

Si vòta un cesso, è pagato un facchino;

162 oggi di bando ognuno ’l vòta e lava.

Un che non abbia il padrone o ’l buccino
e non vi ponga ogni sua fantasia,

165 è tenuto ignorante o contadino;

oggi non è sicuro un che non sia
con tre dita di barba, e dice il vólgo:

168 — Finisca in me la mia genealogia. —

Ma questo sacco a mio modo non sciolgo,
ché mia intenzion non è d’esser mordace;

171 ond’i miei versi a te, Cecco, rivolgo.

Non voler esser tu piú contumace
a la natura, né aspettar le sette,

174 ché questo fallo a Dio troppo dispiace.

Gli animai che non portan le berrette,
han dinanzi la via larga e patente;

177 a che dunque voltar per le tragette?

E sappi che s’inganna oggi la gente,
che non è ’l piú perfetto e vero amore
180 che servir a le donne solamente;

e fu bene un bugiardo, un cianciatore
colui che pose quel mistier furfante
183 tra l’arti che si fan degne d’onore.

Ma che bisogna dir parole tante?

Un cavallo sarebbe ormai balordo,

186 e tu indurato stai com’un diamante.

Io ti conosco a tal pasto si ingordo,
che pria che ’l vezzo cangiarai lo spoglio;
189 e ’l mio dir è narrar favole al sordo,

e mi butto l’inchiostro e questo foglio.