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CLXXXVIII

Da Apuleio, Astno d’oro, iv-vi.

In solitario luoco una donzella
essendo oppressa da dolor profondo,
una vecchia, che a guardia era di quella,
per ritornarle il bel viso giocondo,
incominciò cosi questa novella:

— Quando era ancóra giovinetto il mondo,
dico che una regina in certe bande
tre figliole ebbe di bellezza grande.

Furon le prime due di forma grate;
pur questa lor bellezza era terrena:
ma la terza ebbe in sé tanta beltate
ch’occhio mortai potea guardarla appena;
tal che la gente in quella rozza etate,
di stupor grande e riverenza piena
e d’una sciocca religione accesa:

— Questa è Vener — dicea — dal cielo scesa. —
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Tratti infiniti avean da ciascun lido
a cotanta beltá questi rumori ;
non si frequenta piú Pafo né Gnido
né piú a Vener si danno i sacri onori;
sola costei per madre di Cupido
s’invoca ed ha gl’|incensi e i grati odori ;
per la terrestre Venere ognun giura
e la vera nel ciel piú non si cura.