Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/260

CLXXXV

Da Orazio, Odi , i, 33.

Non ti lagnar, Tibullo,
tanto fuor di misura,
a Glicera pensando iniqua e dura,
né men cantar meste elegie, perch’ella
5 dopo la rotta fé sembri piú bella.

L’amor di Ciro strugge
Licorida vezzosa e Ciro, insano,
segue Foloe che fugge
con pensier aspro e si dal suo lontano,
io che pria vedrem le capre ai lupi unire

che l’infelice adempia il suo disire.

Cosi piacque a la dea che per trastullo,
con giuoco pien di lai,
sotto aspro gioco accoglie
15 disegual forme e voglie.

Anch’io, chiamato a piú bel nodo, entrai

ne P indegne catene d’un’ancilla,

del mar piú fiera assai

che rode e freme tra Cariddi e Scilla.

CLXXXVI


Da Orazio, Odi , iv, io.

Quando sará eh’ io veggia ai giorni miei
cadere il fiore al tuo bel viso adorno
e che, cangiata, aimè! da quel ch’or sei,
sospiri e dichi al fido specchio intorno:

— Perché non volsi io giá quel ch’or vorrei,
o con questo voler bella non torno? —
Cangia dunque pensier, mentre che puoi,
ed accorda co’ gli anni i disir tuoi.