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la novitá di si stupendo caso

par ch’ogni fede avanzi : e fu pur vero,

e sallo il gregge ch’allor era intorno.

Con l’usata mia verga giá pascendo
a le rive del Tebro, e non m’accorsi
di si nuovo miraeoi, se non quando
una ninfa, da Tacque uscita allora,
che de’ propri capelli era vestita,
rivolta verso il sole
disse queste parole:

— Qui, dove splende piú del sole il raggio,
vengo a sciugar Tumide trecce bionde:
l’aria non sente d’alcun vento oltraggio
e ’l ciel benigno ogni sua nube asconde;
né cosi lieto al piú fiorito maggio
vidi mai questo colle e queste sponde;
ride la terra e da sacr’onde aspersa,
gioia, pace, diletto e copia versa.

Avventuroso, lieto, almo paese,
ben hai ragion di ringraziar le stelle,
poi che il gran Tebro dianzi ’l braccio stese
a far le piagge tue si adorne e belle:
questa tua nuova gloria oggi palese
Tritone spande in queste rive e in quelle;
e piú d’un fiume, d’alga e giunchi adorno,
s’è giá rivolto al suo bel seggio intorno.

Veggio ch’ognun s’allegra, ognun l’onora
con suoi semplici doni in vece d’auro:
quest’è il chiaro Arno che TEtruria infiora,
quell’altro è il Mincio, il riconosco al lauro;
veggio la Parma ch’i suoi gigli adora,
e ’l Sebeto vi scorgo e ’l bel Metauro,
la fosca Nera e ’l candido Clitunno
e gli altri ch’aman lui piú che Nettunno.

Ma se spirto è tra noi del ben presago
e ’l ciel non muti la sua eterna legge,
non pur fia d’onorar questo dio vago
ogni fiume vicin ch’ei pasce e regge,
ma venire il Danubio, il Reno, il Tago