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CXXIII

Gli domanda il suo ritratto.

La fronte che, se ’l grido al ver risponde,
può tór l’orgoglio al mar, la rabbia ai venti,
gli occhi sovra il mortai corso lucenti
da far arder Nettuno in mezzo a Tonde,
i bei rubin fra’quali Amor nasconde
le bianche perle e quelle, onde ai presenti
avranno invidia le future genti,
vostre bellezze a null’altre seconde,
ritratte in carta da maestra mano,
un che co’ gli occhi ancor mai non le vide,
benché le veggia col pensiero ognora,
desia mirar, mentre è da voi lontano
né scorge i rai de le due stelle fide.

Signor, come per fama uom s’innamora!

CXXIV


In morte di Tommaso da Fano, studente di legge in Perugia.

Mentre al subbio volgea l’etá piú bella
per tesser veste al suo valor condegna,
ruppe il fil mano (ahi di lui sorte indegna!)
di sangue vaga e di pietá rubella.

Ma l’alma, al suo partir, per mostrar ch’ella
simile al suo fattor stato ritegna,
a perdonar si volse, onde fu degna
trovar perdono e ’n ciel farsi una stella.

Né qui brev’urna il suo bel nome asconde,
perché giá mille penne alzate a volo
chiaman Tommaso, che dal ciel risponde.

Queti dunque il Metauro il pianto e ’l duolo
che largo versa a Tadriatich’onde,
poi che, morto, ancor vive il suo figliuolo.