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CXIX

A un Galantino (forse Pier Antonio Bacialla).
Forse nella stessa occasione de! sonetto precedente.

L’amenissimo sito ove siete ora
(felice voi!) d’ogni diletto abbonda;
non però si ch’ai merito risponda
di colei ch’ivi regge e fa dimora:

ivi donna regai col piede infiora
del vicin Tebro la sinistra sponda;
apre e serra co’ gli occhi ’l corso a l’onda
e col suo ragionar l’aria innamora.

Cercar non vi bisogna Cipro o Gnido
per trovar sotto ’l cielo, o Galantino,
un piú cortese e fortunato lido.

Oggi è si altiero il Fattoi tiberino,
col favor di costei che toglie il grido
al Pattol greco onde si trae òr fino.

CXX


Speri, ché Amore lo fará contento.

Non men, Licida mia, dolce favella
la vostra canna in chiaro suono e tòsco,
che sia bella colei ch’io riconosco
o per ninfa di Cinzia o per sorella:

e s’un tratto v’ascolta, io spero ch’ella
in soave liquor volgerá il tòsco.

Ite sicuro ornai eh’Amor vien vosco
a narrarle il martir che vi flagella.

Ella non può, tra folte siepi stretta,
trasformarsi, fuggendo, in verde alloro,
e ’l piacevol terren tal pianta sdegna.

Itene pur, che se ne sta soletta,
quando torna il padrigno al suo lavoro
ed il tenero armento in mandra segna.