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e compartir talor meco non niega
suoi dolci spassi e boscarecci studi
174 e, come a fido, ogni pensier mi spiega;
ed io gli scopro i miei candidi e nudi
senza alcun neo; ma contra un cor maligno
177 non valsero al mio scampo elmi né scudi.
Un ch’era dentro corvo e di fuor cigno
ed al suo nome avea contrari effetti
180 e ne la lingua il tòsco e ’n bocca il ghigno,
semina in quel cor puro odi e sospetti,
e mi son in un’ora, oimè! ritolti
183 tutti gli onesti miei dolci diletti.
Né, perché egli sia poi da molti e molti
prieghi costretto, si de l’odio scema,
186 eh’un sol detto mi porga o che m’ascolti.
Or, qual fusse ’l dolor, l’angoscia estrema
che di tal privazione ’l cor sentiva,
189 la memoria sen fugge e la man trema
né sostien che piti oltre in carte io scriva.
LXXXII
Ad Annibaie Caracciolo.
Fugace anche la bellezza.
Come nulla qua giú diletta o piace
piú che questa bellezza amata e cara,
cosi nulla piú breve o piú fugace
ne dá Natura in un larga ed avara.
Qual fosse dianzi il volto ond’ebbi amara
guerra e crudel senza trovar mai pace,
nel mio, pallido e mesto, ancor s’impara,
e qual oggi ne sembri Amor noi tace:
ché giá levato ha da quegli occhi ’l nido,
da le guance le rose; e piú m’attrista
che v* ha lasciato oscura nebbia e spine.
Caracciol mio, deh, risguardate il fine
di questi fiori e vi risvegli il grido
de la mia grave penitenza e trista.