Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/177


ma se muto con voi sin qui son stato,
da troppo affanno oppresso, io ricompenso
con lunga istoria il mio tacer passato.

Dirò qual fosse il mio bel foco e penso
poter parlar con voi liberamente,
eh’ancor voi foste in simil fiamme accenso;

e Licorida il sa, che fu possente
farvi smarrir tutti gli spirti un giorno
ad un sol motto piú che strai pungente.

Quel vi trasse a Bologna illustre scorno
ad imparar ciò che Ulpiano insegna,
e dotto e saggio fèste a noi ritorno;

indi colui che in Lusitania regna,
seco vi volse e fa col saper vostro
la scuola di Coimbria assai piú degna.

Ma riserbando a piú purgato inchiostro
le vostre lodi, torno a le mie pene,
ch’altrove scritte e ne la fronte mostro:

voi, come a l’amicizia si conviene,
ben mi sarete d’un sospir cortese,
se questo suon tant’oltre a voi ne viene.

Io dico che quel giorno Amor mi prese,
che nel vostro partir si lunga schiera
a farvi scorta insino al Tebro scese.

Su la riva del fiume in quel punto era
gentil garzone di bellezze conte,
che si sedea su l’erba in vista altiera :

le costui dolci parolette pronte
fúr le mie reti e le maniere accorte
che con voi tenne nel varcar del ponte.

L’avea bene io le sue fattezze scorte
altre fiate, ma quel giorno fòro
che mi strinsero al cor nodo si forte :

la bocca, gli occhi, il fronte e ’l bel lavoro
del crin vinceva (e son nel mio dir parco)
rubin, perle, zaffiri, avorio ed oro.

Porti Giove lo strale e Febo l’arco,

Marte lo scudo, e quel bel volto miri
e fugga poi, se può, di lacci scarco.