Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/168

12
Per fuggir tanta crudeltade e nova,
la patria lascerai senza far motto,
né vorrai del suo nome udir piú nova;
ma ti sará questo disegno rotto,
perché ’l crudel, non che pietate ’l mova,
ma da vergogna del suo errore indotto,
scriverti di sua mano un di si sforza
queste piacevol note in dura scorza :
13
«Pon giú l’affanno ornai, ché ’l tempo e ’l vero
hanno in me vinto ogni indurato affetto:
se ti son parso òltra misura altiero,

lo sdegno incolpa e ’l giovenil sospetto;
or tocco e veggio col giudizio intiero

quel che tu mi hai ben mille volte detto».

Con si dolci conforti e si soavi
sgombrerai tutti i pensier tristi e gravi.
14
Di gioia tornerai colmo e di speme
a rivedere ’l caro volto amato,
e lui vedrai conversar teco insieme
con maniere cortesi e ciglio grato;
ma tosto ’l cor, che nativo odio preme,
a lui cangerá ’l viso, a te lo stato,
e ti ritoglierá, pur come suole,
la sua domestichezza e le parole.
15
Spietato Alessi, aimè! perché gli nieghi
quel ch’è del viver suo sostegno solo?

A chi non porgerá lacrime e preghi?
dove non spiegherá Dedalo ’l volo?

Convien che ’l duro petto alfin si pieghi.

Ecco ti rende, per piú affanno e duolo,

11 bel commercio e ’l parlar dolce e saggio;
ma ’l core è lunge e piú che mai selvaggio.