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LXVI

Era destino che tanta bellezza l’innamorasse.

Mortai bellezza in questo o in quel soggetto
de la celeste è verace orma ed ombra
e, quando entra per gli occhi e corre al petto,
di nova gioia e di stupor l’ingombra:

il cor, che la riceve, ogni altro obietto,
quasi vii soma, da sé ratto sgombra;
quindi nasce ’l disio che l’intelletto
non meno ai saggi ch’agli sciocchi adombra.

Cosi di Coridone il foco nacque,
non per elezion, ma per destino,
de la beltá ch’a mille altri occhi piacque.

S’error fu ’l suo, col gran lume latino
errando egli arse, e l’ardor suo non tacque;
pur n’avrá sempre molle il viso e chino.

LXV1I

Triste la vita cosi lontano da lui.

Aspre montagne e cave intorno intorno
al doppio career mio fan doppio muro,
e ’l fianco appoggio al nudo sasso e duro
de la stanchezza mia letto e soggiorno.

Quel sol ch’agli occhi miei solea far giorno,
giá per me veggio inecclissato e scuro,
né da la bianca man son piú sicuro
d’un breve foglio di sue note adorno:

lasso! m’è tolto’l bel crin d’oro e’l lume
de’ due zaffiri assai piú che ’l ciel chiari,
né so pur quando rimirarli o come,
e ’l parlar saggio e ’l signoril costume
e ’l dolce riso e gli atti onesti e cari ;
né di lui m’è rimasto altro che’l nome.