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XII

Dissuade il Buonvisi dal tornare in Italia.
(1528-15*9)

Vera fama fra i tuoi piú cari sona
ch’ai paese natio passar da quelle
quete contrade ov’or dimori e belle
(né spiar so perché) disio ti sprona.

Qui sol d’ira e di morte si ragiona,
qui Palme son d’ogni pietá rubelle,
qui i pianti e i gridi van sovra le stelle,
e non piú al buon ch’ai rio Marte perdona.

Qui vedrai campi solitari, nudi,
e sterpi e spine invece d’erbe e fiori,
e nel piú verde april canuto verno;

qui i vomeri e le falci in via piú crudi
ferri converse, e pien d’ombre e d’orrori
questo di vivi doloroso inferno.

XIII


Le misere condizioni d’Italia.

(1528-1529)

Prega tu meco il ciel de la su’ aita,
se pur, quanto devria, ti punge cura
di quest’afflitta Italia, a cui non dura
in tanti affanni ornai la debil vita.

Non può la forte vincitrice ardita
regger (chi ’l crederia?) sua pena dura;
né rimedio o speranza l’assicura,
si l’odio interno ha la pietá sbandita.

Ché a tal (nostre rie colpe e di fortuna)
è giunta, che non è chi pur le dia
conforto nel morir, non che soccorso.

Giá tremar fece l’universo ad una
rivolta d’occhi, ed or cade tra via,
battuta e vinta nel suo estremo corso.