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LIII


Di nuovo sorpreso da Amore.

Fuggendo la prigione ove Amor tolse
cinque anni a far di me continuo scempio,
di Libertade era io vicino al tempio
e volea render grazie a chi mi sciolse;

ma gli onesti miei passi indietro volse
nuova beltá, che di sua man quell’empio
ritratto avea dal suo medesmo esempio,
dove ogn’inganno, ogni vaghezza accolse.

Erano gli occhi strali e ’l bel ciglio arco,
le guance foco; ond’io, bersaglio ed esca,
subitamente fui piagato ed arsi.

Cosi questa mia fuga è stata un varco
di laccio in laccio e, perché mai non esca,
veggio tutti i miei prieghi al vento sparsi.

LIV


Sul medesimo argomento.

Uscito alfin de l’amoroso inferno,
dove sempre digiuno, afflitto e lasso
provai cinque anni ’l crud’artiglio e ’l sasso
e de’ fugaci pomi ’l fiero scherno,

perché durasse il mio tormento eterno,
Amor mi si fe’ incontro a mezzo ’l passo,
dicendomi in un suon cortese e basso:

— Non pur qua giú, ma terra e ciel governo:

or che di Stige hai conosciuto i lutti,
vieni in questo vago orto, ove potrai
del paradiso mio coglier i frutti. —

Ivi com’uom di troppa fede entrai,
ma tosto vidi, e non con gli occhi asciutti,
luogo di pianti e d’infiniti guai.