Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/140

3
Con tal pensier in man la penna tolsi,
drizzando a voi queste mie note amiche,
non per troncar quel nodo onde mi sciolsi
né per curar le salde piaghe antiche:
tardi allor per consiglio a voi mi volsi
e fúr le stelle al mio desir nimiche;
onde ne porto al viso un segno impresso,
per cui mai sempre in odio avrò me stesso.
4
Ogni passato danno a dietro lasso,
che ricovrar non puote ingegno umano;
ché navilio dal mar battuto e lasso,
poi ch’è giá rotto, arriva al porto invano;
tardi ancora si chiude al ladro il passo,
poi che via fugge col tesor lontano:
e, raccontando a voi queste passioni,
direste: — Ben tu vuoi gridar coi tuoni. —
5
Ciò non cerco io, ma perché fui del petto
bersaglio un tempo a questo iniquo arciero,
or sento drento a lui nuovo sospetto
che mi face tremar tutto ’l pensiero;
ch’il braccio, avvezzo a far l’usato effetto,
l’arco ripiglia e, s’io comprendo il vero,
par ch’a me tenda, e d’ora in ora sento
lo strai percuoter l’aria e ’l capo drento.
6
E ben, lasso! vegg’io ch’ai primo assalto
da quel crudel sarò piagato e vinto:
so quanto io vaglio; io non ho ’l cuor di smalto,
ché piú di un strale ha nel mio sangue tinto,
e stan sospese le mie spoglie in alto
sopra il mur del suo cieco labirinto,
e, di vittoria certo, ei giá disegna
de’ miei danni spiegar l’ultima insegna.