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X

Nella medesima occasione.
(1527, fine — 1528, principio)

Degna nutrice de le chiare genti
ch’ai di men foschi trionfar del mondo,
albergo giá di dèi fido e giocondo,
or di lagrime triste e di lamenti,
come posso udir io le tue dolenti
voci, o mirar senza dolor profondo
il sommo imperio tuo caduto al fondo,
tante tue pompe e tanti pregi spenti?

Tal, cosi ancella, maestá riserbi
e si dentr’ al mio cor suona il tuo nome,
ch’i tuoi sparsi vestigi inchino e adoro.

Che fu a vederti in tanti onor superbi
seder reina e ’ncoronata d’oro
le gloriose e venerabil chiome?

XI


Nella medesima occasione.

(1527, fine — 1528, principio)

Se pioggia ornai dal ciel larga non scende
sovra queste empie, rie, barbare genti,
si che ne le lor ire piú che ardenti
il foco spenga che l’Italia accende,
tosto cenere fia; eh’ognora attende,
misera! il fin de’suoi giorni dolenti,
e chiama indarno i suoi patrizi spenti
ché ’l mondo ancor quanto fúr chiari intende.

Ma non consenta il ciel che la piú bella
parte consumi scellerata fiamma
e secchi il fior de’ piú lodati ingegni.

Cosi del comun mal teco favella,
Buonviso, quel che di disio s’infiamma
teco oltraggi schivar si duri e indegni.