Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/136

XLVII

Alfin la rivedrá; e, spera, piú benigna.

Rivedrò pur la bella donna e ’l luoco
ov’ io lasciai (chiude oggi un lustro appunto)
l’arso mio core, e non s’è mai disgiunto
per si lunga stagion dal suo bel fuoco;

troverò in lei nulla cangiato o poco
quel suo mortai eh’è col divin congiunto,
ma io, dagli anni e da l’ardor consunto,
le sarò piú che prima a scherno e giuoco.

Trovi almeno appo lei fede si salda
tanta mercé, ch’a le sue luci sante
pascer non sia questi avidi occhi greve;

e se raggio d’amor punto la scalda,
dica tra sé: — Fedel, verace amante,
a si lungo digiun quest’esca è breve.

XLVIII


Vie piú in lei ama l’anima virtuosa.

La prigion fu si bella, ove si pose
l’alma gentil, si fece agli occhi forza,
ch’altri fermossi a riguardar la scorza
e non l’interne sue bellezze ascose.

Ma, poi che il verno fa sparir le rose
e ’l lume de’ begli occhi ornai s’ammorza,
quel chiaro spirto il suo vigor rinforza
e mostra gioie che sin qui nascose:

quindi modestia e cortesia si scorge
e de l’altre virtudi il sacro coro
che qua giú valor dona e grazia porge.

Cieco è ben chi non vede il bel tesoro;
io ringrazio il destin ch’a ciò mi scorge,
e, s’amai prima il corpo, or l’alma adoro.