Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/121

8
Quindi vennero gli odi e le contese,
l’ire e l’insidie a disturbar la terra
e la malnata gelosia ch’accese
il foco in Asia e spinse Europa in guerra;
quindi ’l serpente rio quel laccio tese
che l’aperta del del porta ci serra;
quindi la povertade e tutti i mali
ch’empiono ognor l’inferno de’mortali.
9
Volgi l’istorie insin da’miglior tempi,
quand’era piú novello e fresco il mondo,
piene le carte troverai d’esempi
nefandi e rei di questo sesso immondo,
non di lussuria pur, ma di quant’empi
vizi si serran nel tartareo fondo;
perché il demonio rio le guida e regge,
non rispetto d’onor, non dio, non legge.
10
Che non fan queste scellerate, quando
quella furia sfrenata le raggira?

Senza mirar s’è lecito o nefando,
fan ciò ch’accennan la lussuria e l’ira:
la reina di Creti, un toro amando
(ve’ scellerato amor a che la tira !)
mugge nel cavo legno e fa far l’opra
dove ’I mostro reai Dedalo cuopra.
11
Poi che ’l padre tradi, scannò il germano
per un che pur allor veduto avea
e pei campi lo sparse a brano a brano
per piú sicura andarsene Medea.


Arse Creusa e, se ’l disegno vano
l’antiveduta spada non facea,
periva Teseo; alfin, da rabbia oppressa,
uccise prima i figli e poi se stessa.