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XXII

Confuso in opposti pensieri.

Tacer non posso e doler non mi deggio
se non di me cui piú d’ogni altro scuso,
e pur d’altrui mi doglio, e son rinchiuso
in prigion tal che libertá non chieggio.

Altro in costei che cortesia non veggio,
e pur ognor di crudeltá l’accuso,
e fra questi pensier son si confuso
eh’in dura frenesia spesso vaneggio.

Sento nel petto un non so che presago
forse del mal che non è giunto ancóra,
e mal può medicarsi un caso incerto.

Di favellar con voi solo m’appago;
venite, che v’aspetta il tempo e l’ora
sotto il ciel che di stelle è giá coperto.

XXIII



Immeritati tormenti.
1
Nel tempo che non m’ebbe a sdegno Amore
senza invidia mi vissi e senz’aflanno;
ma poi che privo son del suo favore
(che mi duole assai piú ch’ogni altro danno),
vivo di vita e d’ogni gioia fuore;
e se i martiri altro ripar non hanno,
convien ch’i miei dolori, aspri e diversi,
per la lingua e per gli occhi sfoghi e versi.
2
Ma qual lamento ha giá mai, qual pianto
ch’agguagliar possa il mio stato doglioso?

Io so ben che di voce e d’umor quanto
conviensi al duolo apparecchiar non oso;
ma spero di gridar, di pianger tanto
che ’l mio martir non resterá nascoso.

Or t’apparecchia, penna, e, mentre scrivo,
occhi, versate un lacrimoso rivo.