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libro decimosettimo - cap. viii 47


— Se questa patria miserabile, la quale ha sempre per giustissime cagioni desiderato d’avere uno principe proprio, non fusse al presente oppressa da calamitá piú acerbe e piú atroci che abbia mai alla memoria degli uomini tollerato alcuna cittá, sarebbe stata, illustrissimo duca, ricevuta con maraviglioso gaudio la vostra venuta: perché quale maggiore felicitá poteva avere la cittá di Milano che ricevere uno principe datogli da Cesare, di sangue nobilissimo, e del quale la sapienza la giustizia il valore la benignitá la liberalitá abbiamo, in vari tempi, noi medesimi molte volte esperimentata? Ma la iniquissima fortuna nostra ci costrigne a esporre a voi, perché da altri non speriamo né aspettiamo rimedio alcuno, le nostre estreme miserie, maggiori senza comparazione di quelle che le cittá debellate per forza dagli inimici sogliono patire dalla avarizia dall’odio dalla crudeltá dalla libidine e da tutte le cupiditá de’ vincitori. Le quali cose, per se stesse intollerabili, rende ancora piú gravi l’esserci a ogni ora rimproverato che le si fanno [in] pena della infedeltá del popolo di Milano verso Cesare; come se i tumulti concitati a’ dí passati fussino stati concitati con publico consentimento e non, come è notorio, da alcuni giovani sediziosi i quali temerariamente sollevorono la plebe, sicura, per la povertá, di potere perdere, cupida sempre per sua natura di cose nuove; e la quale, facile a essere ripiena di errori vani, di false persuasioni, si sospigne all’arbitrio di chi la concita, come si sospigne al soffio de’ venti l’onda marina. Noi non vogliamo, per escusare o alleggerire le imputazioni presenti, raccontare quali siano state gli anni passati le operazioni del popolo milanese, dalla prima nobiltá insino alla infima plebe, per servizio di Cesare: quando la cittá nostra, per la devozione inveterata al nome cesareo, si sollevò con tanta prontezza contro a governatori e contro all’esercito del re di Francia; quando poi con tanta costanza sostenemmo due gravissimi assedi, sottomettendo volontariamente le nostre vettovaglie le nostre case alle comoditá de’ soldati, sostentandogli, perché mancavano gli stipendi di Cesare, prontissimamente co’ danari propri, esponendo con tanta