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Trattava intanto il pontefice la pace tra Cesare e i viniziani, con speranza di conchiuderla alla venuta sua di Bologna; perché avendo avuto prima in animo di abboccarsi a Genova con lui, avevano poi differito di comune consentimento, per la comoditá del luogo, a convenirsi a Bologna; inducendogli a essere insieme non solo il desiderio comune di confermare e consolidare meglio la loro congiunzione, ma ancora Cesare la necessitá, perché aveva in animo di pigliare la corona dello imperio, e il pontefice la cupiditá della impresa di Firenze; e l’uno e l’altro di loro il desiderio di dare qualche forma alle cose d’Italia (che non poteva fare senza [comporre] le cose de’ viniziani e del duca di Milano); ed eziandio di provedere a’ pericoli imminenti del turco, il quale, con grande esercito entrato in Ungheria, camminava alla volta di Austria per attendere alla espugnazione di Vienna.

Nel quale tempo tra Cesare e i viniziani non si facevano fazioni di momento; perché i viniziani, inclinati ad accordare seco, per non irritare piú l’animo suo, avevano ritirato l’armata loro dalla impresa del castello di Brindisi a Corfú, attendendo solo a guardare le terre tenevano, e in Lombardia non si facendo per ancora se non leggiere escursioni. Però, intenti solo alla guardia delle terre, avevano messo in Brescia il duca d’Urbino, e in Bergamo il conte di Gaiazzo con seimila fanti. Il quale (non so se innanzi entrasse in Bergamo o poi), avendo fatto una imboscata presso a Valezzo, per avere inteso farsi una cavalcata da’ cavalli borgognoni, essendo venuti grossi, lo ruppeno, preseno Gismondo Malatesta e Lucantonio; egli, fatto prigione da quattro italiani, persuasogli con grandi promesse che lo lasciassino fu da loro condotto a Peschiera e liberato. Erano i tedeschi mille cavalli e otto in diecimila fanti; i quali, stati dispersi qualche dí, si ritirorno a Lonata, disegnandosi che insieme col marchese di Mantova facessino la impresa di Cremona, dove era il duca di Milano. Il quale, vedendosi escluso dallo accordo con Cesare, e che Antonio de Leva era andato a campo a Pavia, e che giá il Caracciolo andava a Cremona a denunziargli la guerra, convenne co’ vini-