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offeriva statichi in mano del re di Inghilterra, per sicurtá della osservanza delle pene alle quali si obligava se recuperati i figli non levasse subito l’esercito; Cesare instava del contrario, offerendo le medesime cauzioni in mano del re di Inghilterra. E disputandosi chi fusse piú onesto che si fidasse dell’altro, diceva Cesare non si potere fidare di chi una volta l’aveva ingannato; a che rispondevano argutamente gli oratori franzesi che quanto piú si pretendeva ingannato dal re di Francia tanto manco poteva il re di Francia fidarsi di lui; né la offerta di Cesare, di dare le sicurtá medesime in mano del re di Inghilterra che offeriva di dare il re di Francia, essere offerta pari perché anche non era pari il caso, con ciò sia che fusse di tanto maggiore momento quello che Cesare prometteva di fare che quello che prometteva il re di Francia, e però non assicurare le sicurtá medesime. Soggiunseno in ultimo che gli oratori del re di Inghilterra, quali avevano mandato dal suo re di obligarlo a fare osservare quello che promettesse il re di Francia, non avevano mandato a obligarlo per l’osservanza di quello promettesse Cesare; e che, essendo le facoltá loro terminate e con tempo prefisso, non potevano né trasgredire né aspettare. Sopra la quale disputa non si trovava risoluzione alcuna, perché Cesare non aveva la medesima inclinazione alla pace che aveva il suo consiglio, persuadendosi, eziandio perduto Napoli, poterlo riavere con la restituzione de’ figliuoli: ed era imputato molto il gran cancelliere, ritornato molto prima in Ispagna, di avere turbato con punti e con sofistiche interpretazioni. Finalmente gli oratori franzesi e inghilesi deliberorono, secondo le commissioni che avevano in caso della disperazione della concordia, di dimandare a Cesare licenza di partirsi, e poi subito fare intimare la guerra. Con la quale conclusione presentatisi, il vigesimo primo dí di gennaio, seguitandogli gli oratori de’ viniziani del duca di Milano e de’ fiorentini, innanzi a Cesare, residente allora con la corte a Burgus, gli oratori inghilesi gli dimandorono i quattrocento cinquantamila ducati prestatigli dal loro re, seicentomila per la pena nella quale era incorso per il ripudio