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suoi cavalli leggieri l’aveano rotto, temendo non trovare il cammino impedito, ritornò a Pavia. Nelle quali cose benché il duca e il Morone fussino proceduti sinceramente, nondimeno i capitani di Cesare, che erano coll’esercito a Binasco, insospettiti che occultamente non fussero convenuti col re di Francia, mandorno Alarcone con dugento lancie a Milano, per seguitarlo o no secondo gli avvisi ricevessino da lui. Alla giunta del quale, il popolo, che giá concordava con alcuni fuorusciti che convenivano in nome del re, ripreso animo chiamò il nome di Cesare e di Francesco Sforza. Ma Alarcone, conoscendo essere vana la speranza del difendersi e presentito approssimarsi giá l’avanguardia franzese, uscí per la porta Romana alla via di Lodi; ove eziandio si era voltato tutto l’esercito imperiale, nel tempo medesimo che gli inimici cominciavano a entrare per le porte Ticinese e Vercellina: i quali, se non si volgendo a Milano avessino atteso a seguitare l’esercito di Cesare, stracco per la lunghezza del cammino nel quale aveano perdute molte armi e cavalli, si crede per certo che con somma facilitá l’arebbono dissipato; e se pure, poi che erano accostati a Milano, fussino andati subito verso Lodi, non arebbono avuto i capitani di Cesare ardire di fermarvisi; e forse, passando con celeritá il fiume dell’Adda, arebbono con la medesima facilitá messo in disordine grande le reliquie degli inimici. Ma il re, o parendogli forse di molta importanza lo stabilire alla sua divozione Milano, nella quale cittá gli era sempre stata fatta la resistenza principale, o non conoscendo l’occasione o movendolo altra cagione, non solamente si accostò a Milano, dove né entrò egli né volle che l’esercito entrasse, ma si fermò per mettervi il presidio necessario e ordinare l’assedio del castello, nel quale erano settecento fanti spagnuoli; avendo, con laude grande di modestia e benignitá, proibito che a’ milanesi non fusse fatta molestia alcuna.

Ordinate che ebbe le cose di Milano voltò l’esercito a Pavia, giudicando essere inutile alle cose sue lasciarsi dopo le spalle una cittá nella quale erano tanti soldati: e avea il re, secondo che era la fama, computati quegli che rimanevano