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l’instanza fatta da Cesare? con che speranza potersi trattare da lui le cose del suo re? come conveniente richiederlo che andasse insieme con lui al pontefice? perché né secondo la commissione né secondo la degnitá del re poteva andare in casa dello inimico, se prima non fussino composte, o quasi composte, le differenze loro. In contrario argomentavano i due imbasciadori aragonesi, dimostrando che tutta la speranza della pace dipendeva dal comporre le cose di Ferrara; perché composte quelle, non rimanendo al pontefice piú causa alcuna di sostentare i viniziani, sarebbono essi del tutto necessitati di cedere alla pace con quelle leggi che volesse Cesare medesimo. Pretendere il pontefice che la sedia apostolica avesse in sulla cittá di Ferrara potentissime ragioni: riputare, oltre a questo, Alfonso da Esti avere usato seco grande ingratitudine, avergli fatte molte ingiurie; e per mollificare l’animo suo gravemente sdegnato essere piú conveniente e piú a proposito che il vassallo dimandasse piú tosto clemenza al superiore che disputasse della giustizia. Dunque, avendosi a impetrare clemenza, essere non solamente onesto ma quasi necessario il trasferirsi a lui; il che facendo non dubitavano che molto mitigato diminuirebbe il rigore; né essi giudicare essere utile che quella diligenza industria e autoritá che s’aveva a usare per disporre il pontefice alla pace si spendesse nel persuaderlo a mandare. Soggiugnevano, con parole bellissime, non si potere né disputare né terminare le differenze se non intervenivano tutte le parti, ma in Mantova non essere altri che una, perché Cesare il re cristianissimo e il re cattolico erano in tanta congiunzione di leghe, di parentadi e di amore che si dovevano riputare come fratelli, e che gli interessi di ciascuno di loro fussino comuni di tutti. Assentí finalmente Gurgense, con intenzione che ’l vescovo di Parigi, aspettando a Parma che partorisse l’andata sua, vi andasse anch’egli, se cosí piacesse al suo re, di andare al pontefice.