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e fece nella fuga, il danno maggiore che Teodoro da Triulzi, chiuse le porte di Vicenza, acciò che i vinti e i vincitori alla mescolata non vi entrassino, non vi ammesse alcuno; onde molti, mettendosi a passare, annegorno nel fiume vicino, e tra questi Ermes Bentivoglio e Sacramoro Visconte. Questa fu la rotta che ricevettono, il settimo dí d’ottobre, i viniziani appresso a Vicenza; memorabile per l’esempio che dette a’ capitani che ne’ fatti d’arme non confidassino de’ fanti italiani non esperimentati alle battaglie stabili, e perché, quasi in uno istante di tempo, andò la vittoria a coloro che aveano piccolissima speranza di salute: la quale arebbe messo in pericolo o Trevigi o Padova, benché in questa l’Alviano in quello il Gritti si fussino rifuggiti con le reliquie dell’esercito; ma ripugnava, oltre alla fortezza delle terre, la stagione dell’anno giá vicina alle pioggie, né potere i capitani disporre ad arbitrio loro i soldati, non pagati, a nuove imprese. E nondimeno i viniziani, afflitti da tanti mali e spaventati da accidente tanto contrario alle speranze loro, non mancavano di provedere quanto potevano a quelle cittá: nelle quali, oltre agli altri provedimenti, mandorno, come erano consueti ne’ pericoli piú gravi, molti della gioventú nobile.


XVI

Il pontefice arbitro nel compromesso fra i veneziani e Cesare. Continuano le azioni di guerra fra i veneziani e le milizie di Cesare. Nuovi tentativi degli Adorni e dei Fieschi contro Genova; questioni fra fiorentini e lucchesi; resa dei castelli di Milano e di Cremona e tentativo dei genovesi contro la Lanterna tenuta dai francesi.

Dall’armi, dopo la giornata, si ridussono le cose a’ pensieri della concordia, trattata appresso al pontefice; al quale era andato il vescovo Gurgense, sotto nome principalmente di dargli l’ubbidienza in nome di Cesare e dell’arciduca; seguitandolo Francesco Sforza duca di Bari, per fare l’effetto medesimo in nome di Massimiliano Sforza suo fratello. E benché