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libro undecimo - cap. iv 229

nella loro virtú, dispregiavano sommamente la imperizia degli avversari: ma essendo venuti senza apparecchiamento di vettovaglie, né trovandone copioso il paese (perché, con tutto che a fatica fusse finita la ricolta, erano state condotte a’ luoghi muniti), cominciorno subito a sentirne il mancamento. Dalla qual cosa spaventato il viceré inclinava alla concordia, che continuamente si trattava: che i fiorentini, consentendo che i Medici ritornassino eguali agli altri cittadini, né si parlando piú della deposizione del gonfaloniere, pagassino al viceré perché partisse del dominio fiorentino certa quantitá di danari; la quale si pensava non passasse trentamila ducati. Perciò il viceré aveva consentito salvocondotto agli imbasciadori eletti per questa espedizione, e si sarebbe astenuto insino alla venuta loro di assaltare piú Prato se di dentro gli avessino dato qualche comoditá di vettovaglie.


IV

Presa e sacco di Prato. Deposizione del gonfaloniere in Firenze. Accordi dei fiorentini col viceré. Riforma del governo in Firenze; restaurazione del governo de’ Medici. Errori che condussero i fiorentini alla perdita della libertá. Resa del Castelletto di Genova.

Niuna cosa vola piú che l’occasione, niuna piú pericolosa che il giudicare dell’altrui professioni, niuna piú dannosa che il sospetto immoderato. Desideravano la concordia tutti i principali cittadini, assuefatti dietro agli esempli de’ maggiori loro a difendere spesso la libertá dal ferro coll’oro; perciò facevano instanza che gli imbasciadori eletti subitamente andassino, a’ quali oltre all’altre cose si commetteva che di Prato si facesse porgere vettovaglia all’esercito spagnuolo, acciò che il viceré quietamente aspettasse se la concordia trattata aveva effetto: ma il gonfaloniere, o persuadendosi, contro alla sua naturale timiditá, che gli inimici disperati della vittoria dovessino da se stessi partirsi o temendo de’ Medici in qualunque modo