Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. III, 1929 – BEIC 1846967.djvu/206

200 storia d'italia

svizzeri avere a essere congiunti con gli avversari; e dal re di Inghilterra aspettava la guerra certa, perché quel re aveva mandato uno araldo a intimargli che pretendeva essere finite tutte le confederazioni e convenzioni che erano tra loro, perché in tutte si comprendeva l’eccezione: “pure che e’ non facesse guerra né con la Chiesa né col re cattolico suo suocero”. Perciò il re intese con piacere grande essere stati ricercati i fiorentini che si interponessino alla pace, mandò subitamente a Firenze con amplissimo mandato il presidente di Granopoli, perché trattasse di luogo piú propinquo, e acciò che, se cosí fusse espediente, potesse andare a Roma; e dipoi intesa per la sottoscrizione de’ capitoli la inclinazione, come pareva, piú pronta del pontefice, si inclinò interamente alla pace: benché temendo che per la partita dell’esercito non ritornasse alla pertinacia consueta, commesse al la Palissa, che giá era pervenuto a Parma, che con parte delle genti ritornasse subito in Romagna e che spargesse voci d’avere a procedere piú oltre. Parevagli grave il concedere Bologna, non tanto per la instanza che in nome di Cesare gli era fatta in contrario quanto perché temeva che, eziandio fatta la pace, non rimanesse il medesimo animo del pontefice contro a lui; e però essergli dannoso il privarsi di Bologna, la quale difendeva come bastione e propugnacolo del ducato di Milano: e oltre a questo, essendo venuti il cardinale del Finale e il vescovo di Tivoli senza mandato a conchiudere, come circondato allora il papa da tante angustie e pericoli, pareva conveniente segno che simulatamente avesse consentito. Nondimeno, ultimatamente, deliberò accettare i capitoli predetti, con alcune limitazioni ma non tali che turbassino le cose sostanziali: con la quale risposta andò a Roma il secretario del vescovo di Tivoli, ricercando in nome [del re] che ’l pontefice o mandasse il mandato per conchiudere al vescovo predetto e al cardinale o che chiamasse da Firenze il presidente di Granopoli, il quale aveva l’autoritá amplissima di fare il medesimo.

Ma nel pontefice augumentavano ogni dí le speranze, e per conseguente diminuiva se inclinazione alcuna aveva avuta