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tanto che i romani, impoveriti e caduti in gravissimi disordini per l’assenza della corte, e approssimandosi l’anno del mille quattrocento, nel quale speravano, se a Roma fusse il pontefice, dovervi essere per il giubileo grandissimo concorso di tutta la cristianitá, supplicorono con umilissimi prieghi a Bonifazio pontefice che vi ritornasse, offerendo di levare via il magistrato de’ banderesi e di sottomettersi in tutto alla ubbidienza sua. Con le quali condizioni tornato a Roma, intenti i romani a’ guadagni di quello anno, preso assolutamente lo imperio della cittá, fortificò e messe la guardia in Castel Sant’Angelo: i successori del quale, insino a Eugenio, benché v’avessino spesso molte difficoltá, nondimeno, fermato poi pienamente il dominio loro, i pontefici seguenti hanno senza alcuna controversia signoreggiata ad arbitrio suo quella cittá. Con questi fondamenti e con questi mezzi esaltati alla potenza terrena, deposta a poco a poco la memoria della salute dell’anime e de’ precetti divini, e voltati tutti i pensieri loro alla grandezza mondana, né usando piú l’autoritá spirituale se non per instrumento e ministerio della temporale, cominciorono a parere piú tosto príncipi secolari che pontefici. Cominciorono a essere le cure e i negozi loro non piú la santitá della vita, non piú l’augumento della religione, non piú il zelo e la caritá verso il prossimo, ma eserciti, ma guerre contro a’ cristiani, trattando co’ pensieri e con le mani sanguinose i sacrifici, ma accumulazione di tesoro, nuove leggi nuove arti nuove insidie per raccorre da ogni parte danari; usare a questo fine senza rispetto l’armi spirituali, vendere a questo fine senza vergogna le cose sacre e le profane. Le ricchezze diffuse in loro e in tutta la corte seguitorono le pompe il lusso e i costumi inonesti, le libidini e i piaceri abominevoli; nessuna cura a’ successori, nessuno pensiero della maestá perpetua del pontificato, ma, in luogo di questo, desiderio ambizioso e pestifero di esaltare non solamente a ricchezze immoderate ma a principati, a regni, i figliuoli i nipoti e congiunti loro; non distribuendo piú le degnitá e gli emolumenti negli uomini benemeriti e virtuosi, ma, quasi sempre, o vendendosi al prezzo