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libro quarto — cap. vii 337

e piú basso, quello della Vernia si guardava dall’Alviano. E da altra parte Pagolo Vitelli, procedendo maturamente secondo il consueto suo, poiché gli ebbe ridotti in sí pochi luoghi, si sforzava di costrignergli a partirsi dal passo di Montalone, con intenzione di mettere poi in necessitá di fare il medesimo coloro che guardavano il passo della Vernia; acciocché le genti viniziane, ristrette in Bibbiena sola e circondate per tutto dagl’inimici e da’ monti, o fussino vinte facilmente o si consumassino per loro medesime; essendo massime molto diminuite, perché, oltre a quegli che erano stati ora qua ora lá svaligiati, se ne erano, per la incomoditá delle vettovaglie e difficoltá di sicuri alloggiamenti, partiti in piú volte piú di mille cinquecento cavalli e moltissimi fanti: de’ quali, assaltati nel passare dell’alpi da’ paesani, la maggiore parte aveva ricevuto gravissimo danno. Costrinseno alla fine queste difficoltá Carlo Orsino ad abbandonare co’ suoi il passo di Montalone, non senza pericolo di essere rotti, perché, sapendosi non potervi piú dimorare, molti de’ soldati de’ fiorentini e degli uomini del paese, che stavano vigilanti a questa occasione, gli assaltorono nel cammino: ma essi, avendo giá preso il vantaggio de’ passi, benché perdessino parte de’ carriaggi, si difeseno, e con danno non piccolo di quegli che disordinatamente gli seguitavano. L’esempio di Carlo Orsino fu, per le medesime necessitá, seguitato da quegli che erano alla Vernia e a Chiusi, che abbandonati que’ passi si ritirorono in Bibbiena, ove si fermorono il duca d’Urbino, l’Alviano, Astore Baglione, Piero Marcello proveditore viniziano e Giuliano de’ Medici; riservatisi per guardia di quella terra, che sola tenevano in Casentino, sessanta cavalli e settecento fanti. Né gli sostentava altro che la speranza del soccorso, il quale i viniziani preparavano giudicando che, in quanto alla conservazione dell’onore e molto piú a farsi migliori le condizioni dell’accordo, importasse non poco il non abbandonare totalmente la impresa del Casentino: e però il conte di Pitigliano raccoglieva a Ravenna con gran prestezza le genti disegnate a soccorrerla, sollecitandolo le spesse querele del duca d’Urbino e degli altri;