Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. I, 1929 – BEIC 1845433.djvu/15


libro primo — cap. ii 9

insieme con gli altri imbasciadori de’ collegati, non poteva in tanta moltitudine apparire agli occhi degli uomini lo splendore della pompa sua: la quale vanitá giovenile fu confermata dagli ambiziosi conforti di Gentile vescovo aretino, uno medesimamente degli eletti imbasciadori; perché aspettandosi a lui, per la degnitá episcopale e per la professione la quale negli studi che si chiamano d’umanitá fatta avea, l’orare in nome de’ fiorentini, si doleva incredibilmente di perdere, per questo modo insolito e inaspettato, l’occasione di ostentare la sua eloquenza in cospetto sí onorato e sí solenne. E però Piero, stimolato parte dalla leggierezza propria parte dall’ambizione di altri, ma non volendo che a notizia di Lodovico Sforza pervenisse che da sé si contradicesse al consiglio proposto da lui, richiese il re che, dimostrando d’avere dappoi considerato che senza molta confusione non si potrebbeno eseguire questi atti comunemente, confortasse che ciascuno, seguitando gli esempli passati, procedesse da se medesimo: nella quale domanda il re, desideroso di compiacergli, ma non tanto che totalmente ne dispiacesse a Lodovico, gli sodisfece piú dell’effetto che del modo; conciossiacosaché e’ non celò che non per altra cagione si partiva da quel che prima avea consentito che per l’instanza fatta da Piero de’ Medici. Dimostrò di questa subita variazione maggiore molestia Lodovico che per se stessa non meritava l’importanza della cosa, lamentandosi gravemente che, essendo giá nota al pontefice e a tutta la corte di Roma la prima deliberazione e chi ne fusse stato autore, ora studiosamente si ritrattasse, per diminuire la sua reputazione. Ma gli dispiacque molto piú che, per questo minimo e quasi non considerabile accidente, cominciò a comprendere che Piero de’ Medici avesse occultamente intelligenza con Ferdinando: il che, per le cose che seguitorono, venne a luce ogni dí piú chiaramente.