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libro primo — cap. xix 109


Ma in Capua, giá innanzi al ritorno del Triulzio, ogni cosa aveva fatto mutazione: andato a sacco l’alloggiamento e i cavalli di Ferdinando, le genti d’armi cominciate a disperdersi in vari luoghi, e Verginio e il conte di Pitigliano con le compagnie loro ritiratisi a Nola, cittá posseduta dal conte per donazione degli Aragonesi, avendo prima mandato a chiedere per sé e per le genti salvocondotto da Carlo. Ritornava al termine promesso Ferdinando, avendo, col dare speranza della difesa di Capua, quietati secondo il tempo gli animi de’ napoletani, né sapendo quel che dopo la partita sua fusse accaduto. Era giá vicino a due miglia quando, intendendosi il ritorno suo, tutto il popolo per non lo ricevere si levò in arme, mandatigli di consiglio comune incontro alcuni della nobiltá a significargli che non venisse piú innanzi, perché la cittá, vedendosi abbandonata da lui, andato il Triulzio governatore delle sue genti al re di Francia, saccheggiato da’ soldati propri l’alloggiamento suo e i cavalli, partitisi Verginio e il conte di Pitigliano, dissoluto quasi tutto l’esercito, era stata necessitata per la salute propria di cedere al vincitore. Donde Ferdinando, poiché insino con le lacrime ebbe fatta invano instanza di essere ammesso, se ne ritornò a Napoli, certo che tutto ’l regno seguiterebbe l’esempio de’ capuani: dal quale mossa la cittá d’Aversa, posta tra Capua e Napoli, mandò subito imbasciadori a darsi a Carlo. E trattando questo medesimo giá manifestamente i napoletani, deliberato l’infelice re di non repugnare all’impeto tanto repentino della fortuna, convocati in sulla piazza del Castelnuovo, abitazione reale, molti gentiluomini e popolari, usò con loro queste parole: — Io posso chiamare in testimonio Dio e tutti quegli a’ quali sono stati noti per il passato i concetti miei, che io mai per cagione alcuna tanto desiderai di pervenire alla corona quanto per dimostrare a tutto il mondo gli acerbi governi del padre e dell’avolo mio essermi sommamente dispiaciuti, e per riguadagnare con le buone opere quello amore del quale essi per le loro acerbitá si erano privati. Non ha permesso l’infelicitá della casa nostra che io possa ricôrre questo frutto molto piú onorato