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208 discorsi politici


Era adunche Clemente, acciò che in potestá di Cesare non fussi violare la autoritá del pontificato e sottoporsi Italia, in necessitá manifesta di pigliare l’arme, pur che avessi speranza verisimile di potersi difendere. Circa a questo, che è l’ultimo articolo del discorso nostro, io parlerò brevemente, perché sarebbe troppo lungo discorrere tutti e’ particulari, e perché la cosa è sí fresca che gli uomini facilmente possono riducersi in memoria e’ fondamenti principali. Dico adunche, che pigliando Clemente le arme con la lega ed apparati che si feciono, non solo non doveva desperare la vittoria, ma n’aveva quella speranza che si può avere nelle guerre, del fine delle quali non si può avere certezza alcuna, essendo tutte dubie e sottoposte alla potestá della fortuna. Perché essendo da una banda apparato grandissimo d’arme e di danari; dall’altra uno piccolo esercito senza provisione alcuna necessaria alla guerra, e massime penurioso di danari; senza speranza di soccorso propinquo; co’ popoli dello stato di Milano inimicissimi e con molte altre difficultá; Cesare lontano, ed a chi secondo e’ capituli della lega aveva el re di Francia a rompere subito guerra di lá da’ monti; ed e’ collegati tutti correndo in questa impresa grandissimi interessi, non pareva restassi altro dubio di felice fine che o la fortuna di Cesare stata insino a quello di grandissima, o che el re di Francia, per essere e’ suoi figliuoli in mano di Cesare, procedessi freddamente.

El dubio della fortuna non era cagione sufficiente a fare ritirare e’ príncipi da una impresa che pareva quasi vinta; perché questo è proprio della fortuna, essere instabile ed incerto; e chi lungamente l’ha avuta favorevole tanto piu debbe temere la sua mutazione, e coloro massime che non la sapendo o ricevere o conservare, l’hanno provocata a partirsi da sé, come pareva che avessi fatto Cesare; poi che, con consiglio che da ciascuno fu giudicato imprudentissimo, aveva liberato el re di Francia e voluto piú presto fidarsi di uno inimico suo naturale che di quelli che, rimosso el timore, desideravano essergli amici. Né era ragionevole che el re di Francia non