Pagina:Guicciardini, Francesco – Scritti autobiografici e rari, 1936 – BEIC 1843787.djvu/359


nota 373

rendo in lui e fini ambiziosissimi e peccati gravissimi, di quella sorte massime che sono con preiudicio del terzo, ho non solo cognosciuto che in me non si può desiderare amore verso la patria poi che sanza rispetto alcuno di potenti inimicizie accuso uno che è utilissimo che sia condannato, né la elezione poi che e’ peccati per e’ quali io lo accuso sono sí grandi e sí noti che e’ quasi impossibile che e’ sia assoluto; anzi non meritando minore imputazione chi cognoscendo una tale peste della cittá non la conduce (giustamente canc.) in giudicio, che chi ingiustamente accusa uno innocente, mi sarebbe parso, se fussi mancato di questo officio a che la coscienzia mia dí e notte mi stimulava, potere esserne molto giustamente ripreso ed esserne tenuto agli uomini ed alla republica, e molto piú allo onnipotente Dio amatore della libertá delle cittá e particolarmente di questa, la quale per opera sua e fu da principio introdotta ed ora è stata ricuperata, e però come cosa non umana ma divina debbe con ogni studio essere da tutti noi difesa e custodita.

Dua capi, come voi avete veduto, giudici, nel libello dato contiene questa accusazione: l’uno che messer Francesco come uomo ambizioso (amico de’ tiranni canc.) e che è stato fautore della tirannide de’ Medici e desideratore del ritorno loro ed inimico e pericoloso al governo populare, debbe essere per sicurtá della cittá e per esemplo degli altri mandato in esilio; l’altro che in questa guerra ha rubato i danari publici e per avarizia è stato causa che el contado nostro sia stato saccheggiato da’ soldati nostri medesimi; le quali cose, se voi mi udirete con quella attenzione che vostra benignitá avete cominciate, con poca fatica mia vi saranno sí chiare e sí palpabile come sono le cose che tutti dí si toccano con mano. Nessuno cittadino è in questa cittá che abbia ricevuto tanti benefici da’ Medici quanto ha lui; nessuno a chi possa piú dispiacere la vita privata; nessuno che della ruina loro abbia perduto piú che lui; nessuno che della loro da loro esaltazione fussi per guadagnare piú, perché gli altri o hanno che avuto da loro manco lui, o se hanno avuto piú, non è stato dato a loro ma al parentado a qualche servitú fatto1 a essi nel tempo della loro infelicitá; gli altri che hanno avuto da’ Medici non hanno avuto per modo che abbino avuto causa o necessitá di pigliare altra vita che privata, gli altri quello che avevano avuto non l’hanno perduto per la ruina loro; perché chi ha per mezzo loro guadagnato danari o beni, benché e’ Medici siano stati cacciati, se gli tiene, nè è certo per la tornata loro fare assai guadagno (massime che non sono troppo grandi gli emolumenti che si cavano dello stato di Firenze canc.). Queste condizioni che sono negli altri sono in lui totalmente diverse.


3. Non si doveva pregare Dio di cosa alcuna, giudici; nessuna poteva essere piú a proposito della republica che avere qualche bella occa-

  1. Cosí il testo.