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oratio accusatoria 223

sanza questo, a te non può riuscire l’uno sanza l’altro, perché puoi essere certo che la cittá che ragionevolmente è gelosa della sua libertá e che dagli esempli passati ha imparato a vivere in futuro, non permetterá mai che tu o altri cittadini vadino a servirlo, né consentirá mai che abbiate commerzio con chi dí e notte non penserá mai a altro che rimetterci quello giogo sotto el quale e’ passati suoi e lui ci hanno fatto, bontá de’ tristi cittadini, crepare tanti anni. Però non potendo tu pervenire a quello fine nel quale ti pare che consista el sommo bene, sanza questo mezzo, chi dubita che tu desideri e che sia per cercare e quello ed ogni altra cosa che ti conducessi al disegno tuo?

Piú dico, giudici, che per le medesime ragioni, posposti ancora tutti gli intressi e speranze del papato, non è da dubitare che ami e’ Medici in Firenze; perché l’abbiamo visto in questa medesima inclinazione innanzi che andassi a’ governi: non è uso alla equalitá né alla civilitá; è nutrito ne’ pensieri ed azioni tirannici; non cognosce lo amore della libertá, non la riputazione che può avere uno cittadino in una cittá libera, non che contento che frutto sia nella vita privata, nella tranquillitá dello animo, nello amore e benivolenzia de’ suoi cittadini.

Ma dirá forse qualcuno, forse cadrá ancora nel pensiero vostro, giudici: tutte queste cose sono verissime ed è impossibile non confessare che a chi ha lo stomaco depravato e corrotto non piaceranno mai sapori e cibi contrari a quegli co’ quali insíno a ora è vivuto e nutrito; pure lo animo sanza le forze importa poco, né si debbe tenere conto della sua mala intenzione perché non ha facultá di metterla in effetto: lui, quello che e’ sia stato per el passato, è ora privato cittadino, sottoposto alle legge nostre come qualunque minímo di questa cittá, non ha piú autoritá di soldati, né governo di popoli a chi comandare. In che può egli offendere la nostra libertá? Questa sua immoderata ambizione, questo ardore di grandezza serve piú presto a farlo vivere con perpetuo cruciato e tormento, che a satisfare alle sue prave cupiditá; è piú presto