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consolatoria 175

invidia, e viene loro dietro el romore e la infamia populare. Però che puoi lamentarti se avendo desiderato di maneggiare faccende grande ed onorevoli è bisognato che vi entri con la medesima condizione e sorte che sono entrati tutti gli altri? Anzi ti debbi piú presto lodare che el corso delle faccende tue ha avuto maggiore e piú lunga prosperitá che non soglia avere communemente, perché rari o forse nessuno sono stati quelli che abbino avuto la felicitá perpetua, pochissimi che l’abbino avuta piú lunga di te, infiniti che o nel principio de’ travagli loro o in pochi...1 non abbino sentito qualche intoppo della fortuna. A te insino a questo dí sono andate le cose felicissime, né avevi insino a ora avuto mai, io non dico uno colpo, ma né anche sentito ne’ maneggi tuoi cosa che ti potessi dispiacere; ed ora quella avversitá che ti è venuta, a comparazione di quelle che dá el mondo, di quelle che accaggiono tuttodí agli altri, è di qualitá che hai piú presto da ringraziare Dio che non te l’abbia data maggiore, che a lamentarti, da pregarlo che la si fermi qui e non ti venga maggiore colpo che da parerti questo troppo grave o troppo acerbo.

Considera, se si vinceva questa impresa, alla quale andasti con tanto ardore, e se l’aveva quella prosperitá che da principio si credette, quanto era piú quello che tu acquistavi di grandezza, di riputazione e di onore, che non è quello che tu hai perduto; e quanto è la diversitá dall’uno all’altro, tanto ti paia che la fortuna t’abbia avuto di rispetto. E se el caso ha dato che la impresa sia perduta, il che potere accadere credo che considerassi da principio, e che con questo presupposito vi entrassi, ed el perdersi non poteva essere sanza tuo danno, hai piú presto a restare obligato alla fortuna che abbia voluto el danno tuo essere piccolo, che a reputare per tua infelicitá che si sia perduta quella impresa che non era tua, ma di tanti príncipi, e dove tu non intervenivi per principale ma per instrumento, in modo che el vincersi o perdersi non

  1. Il testo reca: danno di essi, parole di senso non intelleggibile.