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mi gloriai di un Omero, nè di un Archimede, e tuttavolta fui poeta anch’io, e quando la natura mi fece intimare dalla morte lo sfratto dal mondo, di una sola cosa mi dolse e fu abbandonare i dolci canti, la felice aura di maggio e le care speranze della sacra libertà; se non che scese un conforto dall’alto, il quale atteggiò a sorriso le morenti mie labbra assicurando l’anima che partiva, come ad ogni colpo di ala ella si sarebbe accostata al principio di tutta poesia, alla primavera eterna, che non teme rigori d’inverno, alla libertà non eclissata mai dalle nebbie della maledetta ed aborrita tirannide.

Però li giuro da quell’Asino galantuomo che sono, il disprezzo degli uomini contro le Bestie essere stato ostentazione pretta, non cosa reale, avvegnachè quante volte successe loro di trovarsi convertiti in Bestie (e oggimai conosci, che ciò accadde sovente), a patto alcuno consentirono riassumere la pristina sembianza: di quanto ti affermo fieti testimonio Grillo compagno di Ulisse, il quale, come si legge, tramutato da Circe, con reverenza parlando, in Porco (che per giudizio dei savi universale non fu Bestia la più pulita, nè la più creanzata del mondo), per argomenti che gli adducessero o per preghiera, che gli profferissero, non volle riprendere effigie umana. Quali e quante le ragioni per cui egli si schernisse dall’accettare l’odiato presente, potrai vedere, se ti