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capitolo xxiv. 335


E tu pure, oceano, pigliando il colore di porpora,1 ti piaci sovente rassomigliare il campo di battaglia tinto dalla strage; sublime letto di gloria pel guerriero che muore! Vi cinga, immortale camicia di Nesso, la fama, o carnefici incoronati, dacchè il vostro nome sia grande in proporzione del male che avete fatto all’umanità!

Con altre fantasie si contristava Curio contemplando cotesta agonia della luce, e la tenebra spegnere codardamente, come un veleno letale, il bel raggio di amore. La sua mente, versandosi su le storie dei tempi passati, si fermava nel re longobardo Rachis, figlio di Pammone, il quale, nello splendido mezzogiorno della sua potenza, punto nel cuore dall’aspide della parola sacerdotale, casca sotto il proprio peso, sbadiglia, e di re diventa frate. Eccolo ginocchioni dinanzi a papa Zaccaria, che ad una ad una gli spoglia le insegne regali; da un lato mira gettata la dalmatica tessuta di bisso e di oro; dall’altro lo scettro; la corona percotendo in terra ci ha seminato le gemme, nella medesima guisa che il sole nella sua partita sparge in cielo le stelle: ora sotto la cappa si spenge il re; in breve sotto il cappuccio del frate si spegnerà anche l’uomo; nè

  1. Ci erano due maniere porpora: una violacea, colore che piglia di sovente il mare in Oriente. Omero qualifica il mare purpureo. In mare purpureum violentior influit amnis. Virgilio, 4 Georg. Purpureis agitatam fluctibus Hellen. Properzio, l. 2. Eleg. 20. E così pure Cicerone più volte in Acad.