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d’Èrcole invitto e suo degno nipote,

poi che lasciar non vuoi le selve, almeno
segui le selve e non asciar Amore,
un amor si legittimo e si degno,
com’è quel d’Amarilli. Che se fuggi
Dorinda, i’ te ne scuso, anzi pur lodo,
ch’a te, vago d’onore, aver non lice
di furtivo desio l’animo caldo,
per non far torto a la tua cara sposa.
Silvio. Che di’ tu, Linco? ancor non è mia sposa.
Linco. Da lei dunque la fede
non ricevesti tu solennemente?
Guarda, garzon superbo,
non irritar gli dèi.
Silvio. L’umana libertate è don del cielo,
che non fa forza a chi riceve forza.
Linco. Anzi, se tu l’ascolti e ben l’intendi,
a questo il ciel ti chiama,
il ciel ch’a le tue nozze
tante grazie promette e tanti onori.
Silvio. Altro pensiero appunto
i sommi dèi non hanno ! appunto questa
l’almo riposo lor cura molesta!
Linco, né questo amor né quel mi piace.
Cacciator, non amante, al mondo nacqui.
Tu, che seguisti Amor, torna al riposo.
Linco. Tu derivi dal cielo,
crudo garzon? Né di celeste seme
ti cred’io, né d’umano;
e, se pur se’ d’umano, io giurerei
che tu fussi piú tosto
col velen di Tisifone e d’Aletto
che col piacer di Venere concetto.