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per mio giudicio, quanti poemi lirici furon mai, gli truovo in due differenze, l’una turgida, grande, nervosa, concitata, piena di maestá, e questa è quella di Pindaro, e forse fu di Stesicoro; l’altra tenera, delicata, placida, piena di venustá, piena di leggia- dria, e questa è quella d’Anacreonte; e, si come la grandezza pin- darica ebbe tra i latini Orazio che l’imitò, cosi non mi so ben risolvere chi debbia essere parallelo d’Anacreonte, se non per avventura Catullo, che ’n tutto non mi par simile, ma neanche tanto diverso, che non si debbia porre nella classe de’delicati. E, quantunque si possa dire che queste due differenze nascano dalla necessitá delle materie diverse, avendo Pindaro cantate le vittorie d’uomini grandi, e quel buon vecchio d’Anacreonte gli amori, io parlo nondimeno di quella diversitá eli’è negli stili, quasi propria di ciascun genio, si come disse Aristotile altresí, che le diverse inclinazioni de’ facitori, alcune alle cose grandi e alcune alle basse, cagionarono i due poemi tragico e comico. E porto ferma openione che, se ’l placido Ana- creonte avesse cantate Tarmi e ’l gran Pindaro gli amori, l’uno teneramente avrebbe cantato Tarmi e l’altro gravemente gli amori. E che sia vero, leggasi 1 ’Argonautica di Catullo: avvengaché sia pur epica poesia, non può egli dissimulare in essa la sua naturale ed insita tenerezza. Leggasi per Io contrario lá dove Orazio parla d’amore: non s’ammollisce mai tanto, che si scordi d’essere Orazio, ed è in questo molto simile al gran Virgilio. Videro, com’ io credo, que’ primi rimatori di nostra lingua la differenza di questi lirici stili; ma essi, o che si diffi- dassero di poter giugnere alla grandezza dell’una, o che pure men la prezzassero, qualunque la cagion se ne fosse, certa cosa è che la dolcezza dell’altra piú volentieri abbracciarono. II che si vede assai chiaro nel Canzoniere del Petrarca, che prencipe fu di tutti, perciocché egli amò piú tosto la tenerezza dell’en- decasillabo che il nervo del ditirambo. E, benché alcuna volta s’innalzi, è nondimeno in quell’altezza si molle e si delicato, che gli avi nostri, ne’ quali dopo la barbarie di molti secoli cominciò a rinverdire lo studio della toscana favella, credettero fermamente ch’ella non fusse di sua natura bastevole a produrre