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o nume o semideo, che dianzi d’ostro regalmente si vide ornato e d’oro, ignobilmente non favelli, in guisa che sembri uom di taverna oscuro e vile. Ora, essendosi dalle parti e dal fine bastevolmente provato che il misto tragicomico è ragionevole, resta che ciò si pruovi ancor dallo stile, il quale, dovendo esser proporzionato alla favola, bisogna bene che, s’ella è mista, anch’egli, per essere uno, sia misto. E, si come Demetrio falereo, maestro nobilis- simo degli stili, c’insegna che le due forme da lui chiamate íoxqòv xaí neYaXo^ejtèq, cioè «dimessa e magnifica», non si possono mescolare, cosi afferma che l’altre due, yfoupVQÒv xaí fieivòv, cioè la «polita» e la «grave», il possono fare, accom- pagnate con l’una o con l’altra dell’antidette, per modo che il facitore delle tragicommedie, quando pure si concedesse che le due prime non mescolasse, non si potrebbe negare che di- rittamente dell’altre due noi facesse. La sua propria e princi- pale è la magnifica, la quale, accompagnata con la grave, di- venta «idea» della tragedia; ma, mescolata con la polita, fa quel temperamento, che conviene alla poesia tragicomica. Percioc- ché, trattandosi in essa di persone grandi e d’eroi, non con- viene favellare umilmente; e, perciocché nella medesima non si vuole il terribile e l’atroce, anzi si fugge, lasciando da parte il grave, prendesi il dolce, che tempera quella grandezza e quella sublimitá, eh’è propria del puro tragico. Cosi lodava Donato il giudicio e l’arte di Terenzio, che si bene avesse saputo andar per mezzo di coteste due forme tanto contrarie. Oltre di ciò, gli stili non sono come campane, che, fuor di quell’ordinario e zotico tuono che loro diede l’artefice, non sieno atte a fare alcun verso piú e men grave o piú e meno acuto di quello che sempre fanno; ma sono come le spiritose e arrendevoli corde del musicale stromento, le quali, benché tutte abbiano il proprio tuono, non è però che ’n quello or- dinariamente non sieno piú e meno, secondo che piace al musico, intense o dimesse. L’«ipate» senza dubbio non sará mai la «nete», né questa sará mai grave, né quella acuta. L’una