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intrepido, e, coll’esempio del soldato, conchiudono che ’n cotal guisa la tragedia purghi il terrore. Il che forse si potrebbe concedere, s’ella rappresentasse gladiatori o sicari. Ma ella è da ciò tanto lontana, che anche le morti, che sono in lei, rade volte sottopone agli occhi degli ascoltanti, ma falle raccontare, avvengaché qualche volta i corpi morti produca in palco, come Euripide fece nelle Fenisse. Certissima cosa è che Sofocle noi fé’ mai, che che si dicano alcuni, i quali s’hanno creduto che la morte d’Aiace si faccia in vista del teatro, che non è vero a chiunque intende e considera ben quel luogo. Cosi dunque non può ella voler purgare, perciocché le viste truculenti fanno ben gli uomini piú crudeli, ma non piú forti Né la fortezza del soldato, quand’ella nasce dall’abito di veder corpi morti, è virtú, e chi per altra via non è forte, impropriamente si chiama tale, come quella eziandio del nocchiero, abituato nelle tempeste del mare, secondo che c’insegna Aristotile, non può dirsi vera fortezza. Il veder dunque in altrui spesso la morte assicura bene di praticare dove si muore, e per questo i car- nefici e, ne’ tempi di pestilenza, i beccamorti, che son persone vilissime, in quel loro esercizio sono intrepidi piú degli altri; ma non rende gli animi forti né purga il timor della morte. E che sia vero, pochi sono i soldati, tuttoché ogni giorno veg- gano il sangue, che, quando il pericolo della morte non è piú in mano della fortuna, ma del nemico piú forte, e giá si veggano sopraffatti, stien saldi nella battaglia e non volgan le spalle; e que’ pochi, che resistono e fanno testa, non sono forti per abito di vista spaventevole e truculenta, ma per abito d’onorato, vertuoso e lodevole oggetto. Vengo ora alla compassione, della quale potrebbe dirsi che ’l frequentar le viste compassionevoli fosse cagione di consumarla. Ma io non so vedere come altri possa privarsi di questo affetto senza spogliarsi d’umanitá, che vuol dire farsi crudele; né so come Aristotile il voglia, avendoci egli pure insegnato nelle Morali che si dé’ compatire del male che ha l’amico. Or queste sono le difficultá che ci bisogna prima risolvere, volendo bene intendere il modo con che il poema tragico purga. E, prima ch’altro s’intenda, è da sapere