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bile», nascono tutte le scienze, tutte le facoltá e tutte l’arti. Dal vero contempiabile deriva la divina filosofia, la scienza naturale, le matematiche, con le lor subalterne, e la logica. Le quali tutte non hanno altro fine che di trovare il vero, e in quel trovato posarsi. Dal vero eligibile poi procedono le morali, l’etica, la politica e 1’economica, che insegnano di governar se stesso, la republica e la famiglia, le quali hanno per fine il vero in quanto buono, e però in quel non si fermano, ma un altro fine at- tendono, che consiste nell’operare, perch’egli è buono. Nel pro- babile son fondate la dialetica e la retorica, maestra Luna del disputare e l’altra del persuadere. Dall’ultima finalmente vien la poetica, che ha per fin Limitare. E, benché tutte l’altre, chi le considera bene, non sieno in tutto lontane dall’imitare, come appresso si mostrerá, niente di meno a questa sola si con- vien propriamente il nome d’«imitatrice», si come quella che per lo piú rappresenta non concetti, non pensieri, non forme, si come l’altre, ma umane operazioni, che sono appresso tutti di tanto pregio. E veramente che cosa è rassomigliarsi al vero, se non imitare? La qual maravigliosa e veramente divina operazione che alla natura umana sia tanto dilettevole e tanto cara, non è da prenderne maraviglia, perciocché non è cosa di qualsivoglia sorte in questo mondo sensibile e alterabile, che non partecipi tanto o quanto di questo raro dono della imitazione. E, cominciando dalla creazione del mondo, quando quel divino Fabbro il produsse, non parve egli che volesse a un certo modo imitare? non solo per averlo prodotto conforme alla divina idea ch’è nel suo seno ab aeterno, ma per averlo eziandio fatto nella parte celeste con sembianza d’eternitá im- passibile, inalterabile, che son vestigi di non caduca natura. Laonde non è da maravigliarsi se, vedendol tale, Aristotile s’in- gannò giudicandolo eterno. Nel formar poscia il picciol mondo ch’è Luomo, se ’l medesimo divino artefice si compiacesse del- l’opera imitatrice, la sua divina voce ne ’l manifesta: «Fac- ciamo l’uomo a imagine e similitudine nostra». Nel resto poi fu cosi vago del vedere imitare, che niuna cosa volle potesse l’uomo ottener se non imitando. Chi c’insegna di favellare?