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Linco. Vaneggi tu, non io.

Silvio. Ed è cosi vicina?
Linco. Quanto tu di te stesso.
Silvio. In qual selva s’annida?
Linco. La selva se’ tu, Silvio,
e la fèra crudel, che vi s’annida,
è la tua feritate.
Silvio. Come ben m’awisai che vaneggiavi!
Linco. Una ninfa si bella e si gentile,
ma che dissi una ninfa? anzi una dea,
piú fresca e piú vezzosa
di mattutina rosa,
e piú molle e piú candida del cigno,
per cui non è si degno
pastor oggi tra noi che non sospiri,
e non sospiri in vano,
a te solo dagli uomini e dal cielo
destinata si serba;
ed oggi tu, senza sospiri e pianti,
o troppo indegnamente
garzon avventuroso ! aver la puoi
ne le tue braccia, e tu la fuggi, Silvio?
e tu la sprezzi? e non dirò che ’1 core
abbi di fèra, anzi di ferro il petto?
Silvio. Se ’1 non aver amore è crudeltate,
crudeltate è virtute, e non mi pento
ch’ella sia nel mio cor, ma me ne pregio,
poi che solo con questa ho vinto Amore,
fèra di lei maggiore.
Linco. E come vinto l’hai
se noi provasti mai?
Silvio. Noi provando l’ho vinto.
Linco. Oh ! s’una sola
volta il provassi, o Silvio,
se sapessi una volta
qual è grazia e ventura