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Montano. Un’ora o poco piú.

Ti renio. Cosi vien sera?
Torniamo al tempio, e quivi immantinente
la figliuola di Titiro e ’l tuo figlio
si dian la fede maritale, e sposi
divengano, d’amanti; e l’un conduca
l’altra ben tosto a le paterne case,
dove con vien, prima che ’l sol tramonti,
che sian congiunti i fortunati eroi.
Cosi comanda il ciel. Tornami, figlio,
onde m’hai tolto. E tu, Montan, mi segui!
Montano. Ma guarda ben, Tirenio,
che, senza violar la santa legge,
non può ella a Mirtillo
dar quella ié, che fu giá data a Silvio.
Carino. Ed a Silvio fie data
parimente la fede, ché Mirtillo
fin dal suo nascimento ebbe tal nome,
se dal tuo servo mi fu detto il vero;
ed egli si compiacque
ch’io’l nomassi Mirtillo anzi che Silvio.
Montano. Gli è vero, or mi sovviene. E cotal nome
rinnovai nel secondo,
per consolar la perdita del primo.
Tirenio. Il dubbio era importante. Or tu mi segui.
Montano. Carino, andiamo al tempio. E da qui innanzi
duo padri avrá Mirtillo. Oggi ha trovato
Montano un figlio ed un fratei Carino.
Carino. D’amor padre a Mirtillo, a te fratello;
di riverenza a l’un servo ed a l’altro
sará sempre Carino.
E, poi che verso me se’ tanto umano,
ardirò di pregarti
che ti sia caro il mio compagno ancora,
senza cui non sarei caro a me stesso.
Montano. Fanne quel eh’a te piace.