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Esaminato attentamente ogni angolo non fu possibile rinvenire alcun pertugio; decisamente noi eravamo giunti al fondo della grotta, meta desiderata. Incidemmo le nostre iniziali sul sasso, quindi retrocedemmo. Ci sembrava di essere chiusi sotto la volta di un forno di forma però irregolare. Allorchè arrivai al posto dove fatalmente nel discendere caddi, non trovava il modo di uscire, tanto era angusta la fessura per la mia corpulenza, se la mano pietosa dei compagni non fosse venuta in mio soccorso. A poco a poco risalimmo per le traccie lasciate nell’andare; si cominciò a respirare un’aura più libera, un raggio di luce cominciò a rischiararci il cammino. Nel mirare distinti gli oggetti, nel risentire il puro spiro dell’aria accelerammo il passo, e lieti sulla soglia ci assidemmo a ristorarci.

Questa visita smentisce la volgare opinione di leggende fantastiche intorno a questa grotta, che è certamente meno profonda di altre rinomatissime. È un fatto però che il suolo incomodo, la totale mancanza di luce, il timore, la stravagante novità degli oggetti danno a tale caverna un carattere assai singolare.

Non posso affermare che non trovisi altra via nascosta la quale conduca ad una maggiore distanza; con sicurezza però ritengo anche sulla fede del custode, che da mezzo secolo conosce e percorre quella località, che la più vasta direzione corrispondente alla grandiosita dell’atrio è quella da me esplorata. Forse la nausea e le cattive esalazioni prodotte dai pipistrelli, l’arduo cammino, l’orrore del sito avranno trattenuto i curiosi meno arditi a penetrare sino al fondo; cosa che a noi fu concessa e per essere provvisti dell’occorrente e per avere scelta un’epoca in cui mancava la presenza di quegli animali notturni.

Raggiunta la vettura ritornammo alle ore 9 pom. a Pergola d’onde eravamo partiti alle ore 5 antim.