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3i 6 QUADERNO 3 (xx) 21 Non si capisce proprio cosa Panzini abbia voluto scrivere con questa Vita di Cavour; una vita di Cavour non è certamente: né una biografìa di Cavour-uomo, né una ricostruzione di Cavour politico; in ve* rità dal libro di Panzini Cavour esce molto malconcio e molto diminuito: la sua figura non ha nessun rilievo concreto, eccetto che nelle giaculatorie che Panzini di tanto in tanto ripete: eroe, superbo, genio ecc. Ma queste giaculatorie non essendo giustificate (e perciò sono giaculatorie) sembrano talvolta prese di bavero, se non si capisse che la misura che Panzini adopera per giudicare l’eroismo, la grandezza, il genio ecc. è la sua propria misura, della genialità, grandezza, eroismo ecc. del sig. Panzini Alfredo. Ancora bisogna dire che il Panzini esagera nel trovare il dito di dio, il fato, la provvidenza in tanti avvenimenti: è, in fondo, la concezione dello stellone con parole da tragedia greca o da padre gesuita, ma che non perciò diventa meno triviale e banale. Lo stesso insistere troppo sull’elemento «provvidenziale» significa diminuire la funzione dello sforzo italiano, che pure ebbe una sua parte. Cosa significa poi in questo caso questa mi- racolosità della rivoluzione italiana? Significa che tra l’elemento nazionale e quello internazionale dell’evento, è l’internazionale che ha contato di più. È questo il caso? Bisognerebbe dirlo e forse la grandezza di Cavour sarebbe messa ben più in rilievo e la sua funzione personale, il suo «eroismo» apparirebbe ben più da esaltare. Ma il Panzini vuol dare colpi a molte botti con molti cerchi e non ne rac- cappezza qualcosa di sensato: né egli sa cosa sia una rivoluzione e quali siano i rivoluzionari. Tutti furono grandi e furono rivoluzionari ecc. ecc. Nell’*Italia letteraria» del 2 giugno 1929 è pubblicata un’intervista di Antonio Bruers col Panzini: Come e perché Alfredo Panzini ha scritto una « Vita di Cavour»; vi si dice che egli stesso Bruers (pare che sia il Bruers che ha tradotto il Cavour di Paléologue)9 ha inbis dotto Panzini a scrivere il libro, | «in modo che il pubblico potesse avere finalmente un "Cavour” italiano, dopo averne avuto uno tedesco, uno inglese e uno francese». Il Panzini dice nell’intervista che la sua Vita «non è una monografia nel senso storico-scientifico della parola; è un profilo destinato non ai dotti, agli "specialisti”, ma al vasto pubblico». Il Panzini crede che ci siano delle parti originali nel suo libro e precisamente il fatto di aver dato importanza all’attentato di Orsini per spiegare l’atteggiamento di Napoleone III: secondo il Panzini Napoleone III sarebbe stato inscritto da giovane alla Carboneria, «la quale vincolò con impegno d’onore il futuro sovrano della Francia»: Orsini, mandatario della Carboneria avrebbe ricordato a Napoleone il suo impegno e quindi ecc. (proprio un romanzo alla Ponson du Terrail: Orsini doveva essersi dimenticato della Carboneria al tempo dell’attentato già da molti anni e le sue repressioni del 48 nelle Marche erano proprio contro dei vecchi carbonari). Le ragioni dell’indulgenza di Napoleone verso Orsini (o per meglio dire alcuni suoi atteggiamenti personali, perché in ogni modo Orsini fu ghigliottinato) si spiegano forse banalmente con la paura del complice sfug-