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Il sentire in che consista la vera bellezza della lingua non è da tutti, nè da molti, come cosa che è troppo vaga, e dal gusto dipendente; e però questo non è tema da logico ragionamento; ma a dirne qualche cosa per via di dimostrazione, mi converrà premettere, per breve comparazione con bellezza d’altra natura, come sia difficile che due persone s’intendano rispetto al bello di una cosa, se in entrambi non è pari o competente conoscenza della cosa medesima; lasciamo stare le diverse nature degli uomini che diversamente sentono, secondo che di diversa forza o pieghevolezza, vivacità o gravità, sono constituiti o dotati.

Si dice bello un uomo, dice Dante, quando tutte le sue parti sono bene intra se rispondenti; al che si contrappone subito il trito proverbio: bello è quel che piace; e Edmund Burle, in un suo trattato intorno al sublime e al bello, prova, con ingegnose dimostrazioni, che non è ancora la proporzione che constituisca il bello. Bella è una musica allor che ti diletta l’orecchio, e ti fa serpeggiare per tutti i nervi una sensazion piacevole che per gli occhi fuori ti corruschi. Bello un monumento che ti cattivi l’occhio, e t’esalti l’immaginazione; ma pure, sebbene quasi tutti i pareri s’accorderanno nel dire quell'uomo cotale esser bello, perchè la forma dell’uomo è a tutti nota, e sempre forme belle, e brutte, e mediocri, d’uomini ci stanno innanzi; non avverrà il medesimo della musica e del monumento. A tutti generalmente piacerà la musica, ma non a tutti la stessa musica medesimamente; questi prenderà diletto della seria, quegli, della gaia; questi ci vorrà sentir dentro l’ingegno e la scienza, e quegli solo un allegro tintinnio che lo faccia saltare; onde coloro che a ragione potranno avere il voto