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77 sto & me pare che possa aver luogo solamente quando Io aggettivo dinotante quantità si possa attribuire, insieme con quello che lo siegue, a un nome abbiente (i) a quan- tità, come ne* tre primi esempj, fermezza^ ardire^ mercu" tanzia; ma quando il vocabolo che esprime quantità non abbia altro appoggio che uno aggettivo, come nel seguen- te del Boccaccio: La fanciulla tanta contenta rimase^ quan^^ ta altra donna fosse giammai^ io dico esser meglio non lo far accordare con V agente, come qui con fanciulla^ cosa onica e non divisìbile in quantità. Non è da farne abuso por nel primo caso; ma s* adoperi in particolari circostan- ze, aflin che abbia valore quando il bisogno il richiegga. Il dire tanto di piacesmlezza in luogo di tanta piace- volezza^ cioè porre la preposizione di tra l’aggettivo di quan- tità e il nome, è maniera latina usala qualche volta dal Boc- caccio; e similmente ^/à di statore in veceàìpià valore^ come nel seguente esempio. Cosa inconveniente sarebbe a conce- dere che più di valore avesse né" piccoli fanciulli Vusan’ zanche il senno negli attempati. B* Ma guardiamoci dallo abuso, poiché è anche maniera francese. I • Ella il pianse^ e assai volte in vano il chiamò. B. 2. Piu* giorni felicemente navigarono. B. 3. Non potè* tu far cosa che meritasse manco scusa. Caro. 4* ^^ tmto ubbidire come schiavi a quattro scalzi centurioni e ^no tribuni ? Day. Come vedremo che questi vocaboli si usano anco per aTverbj, così gli avverbj assai^ più^ menOj e manco% si adope- rano per aggettivi invariabili; e ciò mostran li quattro esempj. (i) Cioè capace di; da habens, V asa il Dayanzatit mi piaee^ e men sot- to aftcV io.