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parte seconda - capitolo xxxvi 93

nel teatro della non piú mia commedia domani sera, troverá ch’Ella chiede a me cosa fuori di tempo e ch’io non ho né alcun adito né alcun arbitrio di poter aderire al suo desiderio e alla sua richiesta. Per quanto dissi iersera qui al nostro degno signor Carlo Maffei, non doveva giammai attendere da lei una tale dimanda nel colloquio amichevole da lei ricercato.

Il frenetico incominciò a scomporsi con del fremito e delle contorsioni d’un cruccio segreto, ed io seguitai pacificamente la mia risposta nel modo che segue: — Al Sacchi è noto che insin dalle prime ciarle destate da’ di lei passi, mosso dalla di lei credulitá verso un’attrice, io aveva fermata la commedia dall’entrare nel teatro in quest’anno dopo averla donata, con quella poca facoltá che mi restava, per pura delicatezza e temendo che i discorsi formassero un’illusione nel pubblico con pregiudizio di lei e di me.

Al Sacchi è noto che sulla richiamata a nuova revisione del magistrato rispettabile sopra la bestemmia — richiamata seguita sulle di lei mosse incautissime, — egli non lasciò nessun raggiro comico intentato, contro le mie lagnanze, per farmi privare d’ogni facoltá sull’opera mia e per poterla esporre nel teatro, accecato dalla sua laida venalitá, ed è nota a lui la risoluta insolenza con cui rispose alle mie opposizioni.

Al Sacchi è noto che sulla seconda revisione fatta con tutte le viste sull’opera mia, trovata innocente e licenziata per il teatro di nuovo, il circospetto signor Francesco Agazi ministro del magistrato suddetto m’ha intimato magistralmente la privazione di facoltá e anzi un ordine di sollecitare la rappresentazione, aggiungendo che «il suo magistrato non falla».

Al Sacchi sono note tutte le condannabili direzioni da lui tenute, valendosi del vento favorevole che lo assecondava, forse per aderire al genio de’ di lei nimici o delle di lei nimiche e piú alla propria ingordigia d’un sozzo interesse, di baratti di parte, di apparecchi di vestiari, d’acconciature e d’altro, nascostamente da me, punto non curando il cimento a cui esponeva il buon nome d’un uomo che l’aveva beneficato per piú di vent’anni, che son quell’io.