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CAPITOLO XXXV

Considerazioni riflessive fatte da me e con me medesimo sopra il colloquio bramato dal Gratarol. Mia determinazione in di lui favore d’un progetto ch’io credei l’unico e il possibile.


Uscend’io dal teatro quella sera per andarmene a casa, la mia mente non poteva stare in ozio e cercava d’indovinare che mai potesse volere da me il Gratarol nel colloquio chiesto e stabilito la mattina vegnente nella mia abitazione col Maffei. A costo d’essere seccatore non taccio nemmeno le mie considerazioni mentali fatte sopra a quanto è seguito tra me e l’iraconda serpe Gratarol. Le mie considerazioni sono tanto naturali quanto vere.

— Che mai può volere da me quell’infelice imprudente? — diceva io tra me. — Egli dovrebbe vedere abbastanza il mio perduto arbitrio sulla commedia: Le droghe d’amore, e che a fronte delle circostanze, de’ susurri, de’ scandali ch’egli ha cagionati e degli alti ordini posti da’ tribunali, egli non può pretendere da me ch’io fermi quell’opera ond’ella non entri nuovamente nel teatro.

Dovrò credere ch’egli voglia venire da me ad esalare le sue afflizioni come si fa con un amico per sollievo del proprio animo oppresso ed affannoso? Ciò non può darsi. Egli è troppo persuaso ch’io l’abbia voluto esporre alle pubbliche risa nel teatro, affascinato dalle asserzioni della sua comichetta evangelica, e perciò deve odiarmi, fuggirmi, detestarmi, desiderare d’assalirmi, d’uccidermi, se gli riesce, non essendo egli né evangelico né filosofo; ma non mai cercare colle preghiere del Maffei di venire da me ad alleggerire lo spirito nella mia abitazione amichevolmente e inutilmente con me.

Vuol egli forse venire nelle mie proprie pareti a sfogare la sua bile e a caricarmi d’ingiurie? Tutto si può dubitare in un furente, ma non in un furente che ricusa la mia gita da lui,